
Gerardo Muñoz
Mario Tronti è uno dei maggiori pensatori politici della nostra epoca, ciò esonera da lunghe presentazioni. Tra i fondatori dell’operaismo italiano, Tronti ha sviluppato una ricca riflessione teorica nel tentativo di comprendere la costituzione materiale della società occidentale sulla scia dell’epoca postfordista. Non risulta semplice collocare Tronti in una specifica scuola di pensiero, considerando che le sue posizioni teoriche si sono drasticamente modificate nel tempo, confrontandosi con una larga varietà di temi: dalla prassi comunista alla teologia politica, all’analisi della composizione del lavoro in Italia, e, più recentemente, con il venir meno delle stesse strutture politiche del moderno nell’epoca che definiamo come il nostro interregnum. Riferendoci all’attualità, il pensiero di Tronti, munito di un realistico punto di vista, è oggi in grado di affrontare la questione della crisi di legittimazione delle democrazie occidentali, resistendo al contempo alla tentazione di formulare una qualche nuova consolante filosofia della storia. Nel suo più recente libro, una lunga conversazione con Andrea Bianchi, Il popolo perduto. Per una critica della sinistra (Nutrimenti, 2019), Tronti, in particolare, si sofferma sull’odierna corrente populista che attraversa l’Atlantico. Nel dialogo che segue, parleremo della condizione contemporanea della Chiesa cattolica e delle sue forme politiche, dell’esaurimento del ruolo delle élite politiche, del concetto di popolo secondo le dottrine populiste egemoniche, dei cambiamenti geopolitici, di quanto resta della teologia politica quale strumento per comprendere l’attuale crisi di autorità del politico. Oltre che un compendio di grammatica politica, Il popolo perduto è altresì l’espressione di uno stile, lo stile operaista, che si confronta con le mutazioni della realtà e con le corrispondenti trasformazioni del politico. Nel corso della conversazione si discuterà di alcuni di questi temi che sono riaffiorati nell’ambito della spazio politico europeo.
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