La sinistra esiste ? (In dialogo con Goffredo Bettini)

Mario Tronti

“Sono cadute le forme. Tutte le forme …”. Un discorso che comincia così è da prendere molto sul serio. Prende di petto il tema di fondo: la dissoluzione delle forme di vita comune, che non è provocata dal virus, ma che il virus ci mette drammaticamente di fronte. E’ quanto fa Goffredo Bettini nel suo ultimo intervento. Problema politico, problema di civiltà? Direi: una crisi della politica che trascina con sé un disagio di civiltà. Il guasto viene da lontano. E per sommi capi viene qui ricostruito.

Data d’inciampo il ‘68 e, direi, i favolosi anni Sessanta, carichi di promesse non mantenute, anche per limiti interni agli stessi movimenti di contestazione. Di lì, si snoda una storia lunga, attraverso il ’77, il biennio ’89-’91, a livello internazionale, il ’92-‘94, a livello nazionale, e via di seguito, fino a noi, qui e ora. Non è stato speso molto pensiero su queste vicende. E si sente questo, e si paga, nell’affanno della piccola politica di oggi ad opera dei suoi minimi interpreti. Tornare a riflettere è il bisogno necessario e urgente. Soprattutto per una sinistra, che ha una sua forte responsabilità nell’aver lasciato andare avanti la deriva, senza controllarla, senza contrastarla. Anzi, due sinistre, una minoranza estremista, una maggioranza subalterna. In ambedue, il peccato originale di essersi lasciate contagiare, senza misure di contenimento, da un altro virus che qualcuno aveva iniettato nelle vene del paese, quello dell’antipolitica: la madre di quello che impropriamente si chiama adesso populismo. Da leggere in Bettini che cosa sarebbe da intendere per grande politica. Se è vero – scrive – che ogni “forma” ha bisogno, per comporsi, della forza, occorre fare attenzione che la forza non degeneri in violenza. Allora può dispiegarsi la grande politica: la decisione di voler ottenere il massimo senza chiedere il troppo. Cercasi classi dirigenti a questa altezza.

Quello che avete letto è il commento di Mario Tronti all’articolo di Goffredo Bettini pubblicato su Il Foglio del 26 aprile 2020 “La sinistra dopo il virus” https://www.ilfoglio.it/politica/2020/04/26/news/la-sinistra-dopo-il-virus-314833/. Quello che segue è il commento della nostra redazione.

Bettini, come è noto, è un leader politico della sinistra e, dato non usuale, è anche provvisto di cultura politica. Quindi, come dice Mario, va preso sul serio. Condivisibilmente egli descrive il deserto attuale in termini di disgregazione delle forme, di masse anonime, di crisi di senso, di antipolitica e di subalternità della sinistra. Quindi, crisi di civiltà e crisi della politica strettamente collegate ed è già motivo di sollievo non sentire il suono fastidioso dei tromboni delle sorti magnifiche e progressive.
Affrontiamo il tema dell’antipolitica, per farlo ripetiamo a noi stessi quale sia il significato di politica. In questo ci aiuta Max Weber: il capo politico e il suo seguito si trovano “sempre e necessariamente” a dover lottare e infatti «lo spirito di parte, la lotta, la passione – ira et studium – sono l’elemento dell’uomo politico». Ma perché deve lottare? La risposta la prendiamo stavolta da Raymond Aron: perché e noto «che ogni esistenza ha il proprio dio, e che gli dei sono in lotta».
Dunque, in sintesi, politica è conflitto e antipolitica è mancanza di conflitto. Per meglio dire, il politico, che è l’elemento originario, è il conflitto, la politica poi interviene per organizzarlo conferendogli forma. A questo proposito, non deve fuorviare il fatto che il mondo dell’antipolitica sia così rissoso, caratterizzato da campagne mediatico-politiche sempre mutevoli, una volta contro la casta, un’altra contro gli immigrati o lo stipendio dei parlamentari e così via. Questo non è il conflitto a cui pensavano Weber e Aron. Intendiamoci, non è che il conflitto debba essere necessariamente “nobile”, ma dovrebbe essere quantomeno “serio” perché alimentato da ragioni profonde che tocchino l’esistenza delle persone e non l’inconsistenza di un’opinione pubblica mediatizzata.
Ritenendo che Bettini sostanzialmente condivida le considerazioni appena svolte, rimaniamo pertanto sorpresi nel leggere quale sarebbe una delle possibili soluzioni da lui proposte per combattere l’antipolitica: «che aspettiamo a chiamare, sulla base di un allarme di civiltà, le migliori menti del paese (filosofi, economisti, scienziati, scrittori) per un ripensamento dalle fondamenta dell’Italia e dell’Europa?». Potremmo sembrare malevoli ma noi l’abbiamo interpretata così: l’antipolitica dei privilegiati benpensanti contro quella dei poveri malpensanti. Qualcosa non torna se invece che nominare il conflitto e la funzione di parte che dovrebbe svolgere il partito si evochino soluzioni armoniose che mettano d’accordo tutti in una melassa appunto antipolitica. Bettini nel suo intervento non dice mai “conflitto” però accenna alla subalternità della sinistra. Qui sta il punto: la prova di questa subalternità sta proprio nell’aver rinnegato quella parola, nell’incapacità di dare forma e di organizzare il conflitto. Il problema non sono i populisti, i Salvini di turno che cercano e trovano un nemico, loro infatti fanno politica, il problema è la sinistra che non trova il suo di nemico perché non lo cerca neppure. La sinistra è responsabile, governativa e quindi sempre intenta a mediare, ma non facendo politica finisce per mediare solo le posizioni degli altri non avendone una propria.
Va bene, anche noi sappiamo vivere e siamo quindi realisticamente consci che capitalismo non si può dire (lo possono infatti dire solo i capitalisti che, infatti, non soffrono di subalternità), perché i rapporti di forza materiali e ideologici ci sono avversi. Qualcosa però si potrebbe fare e l’ha detto Mario Tronti meglio di quanto potremmo dirlo noi nell’intervista pubblicata su L’Espresso del 22 settembre 2019: «promuovere una nuova leva di dirigenti militanti, organizzatori delle lotte, politici di vocazione oltre che di professione, portati per natura a passare la loro giornata insieme agli uomini e alle donne semplici, come si diceva una volta, gomito a gomito con il disagio del lavoratore sottopagato, le sofferenze delle famiglie lasciate sole, la disperazione, sì, la disperazione del licenziato, del disoccupato, del precario, della casalinga che a fine mese non può fare la spesa, a condividere il dolore delle troppe, troppe, vittime sul lavoro: e venire così riconosciuti come loro simili, non come l’alieno che viene da un altro pianeta […] Il popolo della sinistra, non i soliti benestanti benpensanti, che ne hanno preso il posto, quel sociale disperso di persone che lavorano e soffrono, sì, lavorano e soffrono nello stesso tempo, questa materia viva, seria e silenziosa, oggi senza parola nell’età della comunicazione, ha bisogno di una messa in forma: una forma che la riunifichi e la riporti in campo come soggettività attiva. Questo popolo della sinistra ha bisogno di una classe dirigente alla sua altezza, ha necessità di selezionare un ceto politico collettivamente carismatico, un élite competente e sapiente, che riscopra la passione della lotta». Caro Bettini bisogna scegliere una parte e starci, partito significa parte, non tutto, parte appunto contro un’altra che ha interessi e pensieri opposti.
Da ultimo, come spunto di ulteriore riflessione, pochi giorni fa l’Unità operativa di Epidemiologia dell’Ats metropolitana di Milano ci ha informato che a Milano le aree maggiormente colpite dal contagio sono state quelle periferiche, mentre gli abitanti del centro sono rimasti sostanzialmente illesi. Ebbene, come è tristemente noto il PD raccoglie i maggiori consensi proprio lì dove la ricchezza consente di tener lontano anche il virus. Quello che vogliamo dire è che o si sta dalla parte di Bonomi che vuole l’immunità per le imprese che si sono opposte alla chiusura diffondendo il contagio tra il popolo delle periferie o dall’altra parte della barricata. In politica cercare di stare da tutte le parti equivale a non stare da nessuna parte.
Le polemiche, provenienti dalla stessa “area di sinistra”, successive all’intervento di Bettini, che, lo hanno tacciato di neobolscevismo, dimostrano una volta di più che l’apocalisse è meglio di questa catastrofe.