Ernst Niekisch
A conquistare la fiducia della gioventù che aveva fatto la Guerra fu il fatto che finalmente il movimento nazionalsocialista riconosceva la sua specifica forza e il suo promettente peso politico. In questa gioventù vivono forze ribelli che mettono in questione tutte le basi dell’esistenza dell’ordine costituito. Senza capire il contesto, non si può avere accesso allo spirito della giovane generazione del dopoguerra. Il 1918 rappresentò una rottura […]. Quello che venne dopo ebbe poche relazioni con ciò che vi era prima.
La generazione prima della Guerra fu formata in un’epoca dove la Germania ebbe grandezza e considerevole peso politico sullo scenario internazionale. […] La loro memoria è ancora abituata alla gloria passata che una volta diede senso alle loro vite. L’umiliante presente è apparso loro come un sogno confuso, come un soffio di un destino terribile ma passeggero. La vecchia Germania rimase per loro la vera Germania […].
Le condizioni di vita della generazione del dopoguerra sono completamente differenti. Hanno fondamentalmente vissuto in questa Germania nella sua impotenza […]. Per questo l’amarezza politica, la miseria sociale e la rovina economica sono elementi naturali per loro, sempre presenti nella vita d’ogni giorno. […]
In realtà, il lavoro e l’eredità della vecchia generazione è solo un campo di macerie. La sua conseguenza, un caos senza confini. Per questa ragione, essa non può imporre né rispetto né autorità sulla generazione del dopoguerra. Se ci si accorge che la somma della sua esistenza è stata un collasso, essa non può pretendere alcuna stima. La mancanza di considerazione che la giovane generazione ha nei confronti degli anziani è il riflesso della loro bancarotta.
La gioventù del dopoguerra si è trascinata dietro le pesanti conseguenze di questa bancarotta. I giovani di tutte le classi sociali, giuristi, insegnanti, impiegati e lavoratori si trovano davanti unicamente porte chiuse. L’orribile certezza di un’esistenza allo sbando li depriva di un fiero coraggio, estingue quella fiamma della giovanile necessità dell’azione. Le loro ali sono state spezzate prima che essi abbiano potuto imparare come volare. […] Essi non vedono alcuna direzione aperta, il futuro gli sembra negato. […] Non sperano più che il “loro” tempo possa arrivare. Non c’è più alcun tempo che li chiama. In realtà, essi hanno l’impressione che sono stati gettati via prima di aver dimostrato quanto valgono. C’è un grande odio accumulato contro i propri padri. Il figlio vede se stesso come derubato dal padre: derubato dalla speranza di guadagnarsi il pane, dalla possibilità di fondare una famiglia, della libertà di movimento per un lavoro creativo, in generale dello spazio vitale e, soprattutto, della fede in una missione.
Tutto ciò apre un invalicabile abisso tra la generazione dei padri e quella del dopoguerra. La gioventù era diffidente delle tradizioni sacre per gli anziani. Una tradizione trasmessa da tali padri che valore avrebbe potuto avere? Per questa gioventù il conservatorismo era un vaniloquio. Nella loro eredità paterna non c’era più nulla che valesse la pena di conservare. […] Essi annusano il fetido odore delle idee borghesi, degli ideali dei proprietari, che non gli corrispondono. Non v’è più nulla che a loro interessi lì. Che importa loro delle ansiose preoccupazioni dei proprietari? Questi proprietari sono i residui di un mondo che non è più quello di questa gioventù. […]
Essa ostenta una posizione priva di basi e legami, che terrorizza la precedente generazione. La sua scala di valori è in definitiva differente. Segretamente, essi già disprezzano i benefici della civilizzazione , del progresso e dell’umanesimo. Essi dubitano dell’affidabilità della ragione e non indietreggiano di fronte alla possibilità di una vita barbarica. Il loro “radicalismo” attacca realmente le radici. Per loro, l’opposizione non è più un gioco frivolo, come una volta era una distrazione dall’impegnarsi in una carriera già pianificata. Essi vogliono la sovversione. Le loro tendenze e intenzioni sono violentemente ostili all’ordine costituito. Entrano in partiti estremisti non per la loro immaturità, ma per fare in modo che avvenga l’azione. Quando essi dicono “socialismo” non parlano della fede nella dottrina marxista. No, piuttosto in questo modo esprimono la loro determinazione a ribellarsi contro il mondo borghese. Poiché l’economia non offre più loro aperture, essi non la considerano più il loro destino. […] Guardando più attentamente, vediamo che questa gioventù è nel mezzo della trasformazione della propria miseria in un tipo di virtù prussiana: è idoneo al combattente essere spogliato di ogni proprietà.
Questa gioventù si è intimamente adattata al suolo vacillante sul quale è collocata, a quelle relazioni insicure nelle quali si trova a esistere. Vive di espedienti. Il modo di vita dell’epoca borghese, quando si era contenti di se stessi, quando si calcolava e si pianificava, è completamente estraneo a questi giovani. La traiettoria delle loro vite tocca costantemente il fondo. Psicologicamente, essi vivono pericolosamente ma senza pathos. Assomigliano a un materiale umano grezzo che è capace di qualsiasi cosa, nel bene o nel male.
Nel movimento nazionalsocialista, questa gioventù cerca la propria realizzazione. È lì che essi pensano di ricevere l’addestramento alla lotta contro il vecchio mondo. […] era il meglio della gioventù e , in definitiva, il meglio de tedeschi che lì si radunava. Data la qualità della sostanza umana, le SA e le SS davano loro un’occupazione, indipendentemente dal loro orientamento e dalla funzione politica, all’interno di un rango specifico, che esisteva unicamente per se stesso. È stata proprio questa gioventù a dare tanto fuoco e splendore al Movimento. […] Quello che fu attribuito al Movimento fu in realtà il merito della gioventù che vi aderiva in massa […], avevano tradotto il sentimento del mondo, la visione della vita e la tensione volontarista dei giovani nel linguaggio commerciale della politica, in tal modo che la loro efficacia pratica corrispose alla posizione essenziale di questa gioventù.
Questa gioventù era in rivolta contro il vecchio mondo. Per loro, il Terzo Reich fu l’incarnazione di un mondo nuovo. […] Il Terzo Reich è il mascheramento che il vecchio mondo usò per simulare l’attrazione verso un mondo nuovo. […] Si è abusato della loro fede in modo da metterli al servizio delle forze che avevano giurato di distruggere. […] Esso difende un passato marcio con il linguaggio del futuro. Le sue promesse sono pacificazione.
(Tratto da Ernst Niekisch, “Il regno dei demoni. Una fatalità tedesca”. NovaEuropa Edizioni)